domenica 26 giugno 2011

"Alla Mafia non ci sto!"


Il suicidio di Vincenzo è un atto di accusa feroce contro l‘immagine edulcorata di una città qualunque, che va in bici la domenica , che il sabato sera si tuffa nella movida, che nasconde una rete di alleanze di potere mafiosa, dai clan malavitosi, ai rappresentanti di poteri forti economici, notabili altolocati e corrotti, una città permeata dalla rassegnazione e dalla condivisione di tante illegalità che favoriscono la cultura mafiosa

Dovrebbe scuotere le nostre coscienze il grido del povero operaio “depresso”, ma si scontra con l’indifferentismo sociale che fa accettare come inessenziale lo spaccio sotto casa o gli episodi di bande politico-affaristiche che continuano ad appropriarsi di denaro pubblico a nostre spese , più facile non vedere ,distrarsi e sperare che tanto non ci tocca più di tanto il disperato volo del dipendente delle multi servizi

L’estremo gesto questa volta nella sua assolutezza drammatica ha qualcosa in più, è accompagnato da un biglietto raccolto da un suo amico su cui era scritto “Alla Mafia non ci sto”, non un pensiero alla famiglia o alla sua disperazione, ma a quel sistema di corruzione trasversale che decide il destino delle persone . Un’accusa grave perché per quanto le motivazioni di un suicidio siano esistenziali esiste una percezione di alienazione prodotta dalla presenza subdola , che invade gli spazi vitali della nostra esistenza, di quella “mafia pulita” che non uccide più, ma compra e corrompe, si infiltra nelle attività economiche e nella vita della gente che ci fa adeguare all’idea della normalità del crimine

Forse nel suo gesto estremo Vincenzo ha voluto rompere anche questo legame con una società “mafiogena” che si fonda sull’egoismo e accentua disuguaglianze che, in un momento di crisi totale e sistemica, dilagano . E in questa crisi il mondo del lavoro è quello più attaccato perché la ricerca della sopravvivenza spinge ogni giorno centinaia di migliaia di lavoratori ad andare ben oltre i propri limiti fisici accumulando ore ed ore di straordinario, ad accettare mansioni che danneggiano la salute, o a lavorare in nero in un cantiere o in un’industria, senza che siano rispettate le norme di sicurezza, e può succedere che l’ansia e il peso del compromesso , dell’ingiustizia e della prevaricazione possano privare della lucidità necessaria e indurre un brav’uomo a gettarsi dal sesto piano dello stabile del Comune.

L’accusa feroce del dipendete della multi servizi di Bari va oltre la tragedia individuale , acquisisce un carattere simbolico contro il mondo del lavoro ormai teatro di guerra disumanizzato , senza regole dove chi perde sono sempre i lavoratori ingannati dalla falsa retorica dei politici e del mondo sindacale la cui credibilità è ormai ridotta a zero.

Il mondo del lavoro e del suo baratto, il luogo dove si fa strada l’infiltrazione mafiosa ,che non è il signore con la coppola e la lupara, ma è un pensiero , un modo di fare e di tollerare il malaffare, è l’esigenza dell’economia di continuare a restare “sul mercato inducendo migliaia di imprenditori o dirigenti o consulenti a perdere la propria umanità trasformandosi in individui senza scrupoli, pronti a mercanteggiare qualche scampolo di produttività con la vita delle persone.

Ovviamente rispetto a quest’ultimo episodio non mancano e non mancheranno dichiarazioni da parte di ogni colore o fazione politica, ma sarà difficile dover replicare, senza cadere nella solita magniloquenza singhiozzona, alle lapidarie parole 'alla mafia non ci stò, perché per anni e anni si è fatta passare l’idea di una società sana, di istituzioni che controllano il sistema criminale, mentre predicano un’antimafia unicamente a sostegno dei magistrati impegnati in inchieste sulla mafia, e praticano un'educazione alla legalità astratta e formalistica, che coltiva idee di mafia stereotipe (emergenza, antistato), delegando a leaders più o meno carismatici la lotta alla mafia che spesso rimane allo stadio di aspirazione.

Quel biglietto in questo quadro è disorganico fuori luogo, non previsto, ha infatti, sbilanciato, per ora, i vari rappresentanti istituzionali, che non lasceranno “sola” la famiglia;ma l’operaio quarantenne della società mista Multiservizi di Bari è stato lasciato solo per tanti anni , e non è la sua un’eccezione, in questa mediterranea e rinunciataria città, ci sono migliaia di storie da raccontare che vengono nascoste all’opinione pubblica, perché imbarazzanti sul piano morale, come lo scandalo dei coniugi Tempesta , disabili senza uso degli arti inferiori, che per una serie di cavillosità giuridiche disumane e inique,verranno sbattuti fuori dalla loro abitazione senza che la pubblica amministrazione abbia provveduto a una decorosa sistemazione. Ci si chiede dove andrà a vivere la famiglia Tempesta, non potrà nemmeno accomodarsi nel Palazzo di città , che è di tutti , nemmeno davanti ai gradini , come altri sfrattati più fortunati di loro perché possono utilizzare le gambe, infatti l’edificio non ha nemmeno superato il gap delle barriere architettoniche. E ci si chiede anche del destino di quell’altra signora con figlio gravemente malato anche lei sfrattata, con proroga di 10 giorni, per delle analisi che non potrà fare perché non ha i 60 euro necessari per il ticket sanitario, e così via.

Sicuramente l’informazione di questi singoli casi ingenererà sdegno, ma nonostante si percepiscano anche nella propria vita tanti problemi, moltissime persone continuano a lasciarsi condizionare dalla propaganda e non riescono a vedere la realtà e poi, già domani queste storie saranno vecchie perché ci saranno nuove cose di cui occuparci e la morte di Vincenzo come tanta altra disperazione presto sarà dimenticata .

Fa parte della strategia di quel processo di disumanizzazione di cui siamo vittime e che ci condanna all’isolamento e all’indifferenza, e di questo i primi ad esserne consapevoli sono i più deboli . L’ho letto stamane negli occhi e nelle parole sfiduciate di Gianna Tempesta , che, dalla sua carrozzella in cui è inchiodata da sempre, a voce bassa mormorava “non ho più voglia, oggi non ho più voglia di lottare”, dalle strette di mano di quei pochi che nel loro semplice gesto cercano un momento di incontro per liberarsi dal degrado sociale , morale e materiale in cui ci hanno fatto precipitare . Erroneamente si continua ad aspettare un leader o un gruppo di dissidenti che possa guidare verso un radicale cambiamento ,inutile e vana speranza, il mutamento potrà determinarsi solo partendo da noi stessi.

E mi piace immergermi nel mio sogno e immaginare noi cittadini che riprendendoci in mano la nostra vita alzando la testa in un moto di dignità e di orgoglio, finalmente riusciamo a gridare: Alla Mafia non ci sto!

per Vincenzo, Gianna e Gianni Tempesta e la loro figlia , per Pasquina e le tante e tanti che lottano per la loro dignità.

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