mercoledì 30 giugno 2010

Piazza Umberto e il consumo del territorio



Diventa improrogabile necessità la tutela, la salvaguardia e il rispetto nei confronti dell’ambiente in cui si vive, come dovrebbe avvenire a Bari, dove le scelte politiche e programmatiche stravolgono la tipicità e l’identità storica, sociale, artistica del paesaggio barese, scritte sui muri da generazioni.

Si tratterebbe di frenare una colonizzazione di tipo capillare, che sta distruggendo a vari livelli la città, come dimostrano da un lato la proliferazione degli innumerevoli ipermercati con le necessarie nuove tratte stradali, le circonvallazioni, i raddoppi stradali e quant’altro, causati di riflesso dalla frantumazione delle proprietà e dall’urbanizzazione diffusa, e dall’altro dalla poltica di riqualificazione che mira alla distruzione di un bene storico - culturale quale Piazza Umberto, storia e memoria collettiva della città.

Non ci vuole certo molto per comprendere come le maggiori responsabilità di un tale sviluppo non sostenibile sia imputabile ad una classe politica vecchia, che non seppe a suo tempo affrontare le tematiche connesse al boom economico, chiudendo gli occhi davanti agli effetti da questa provocati, ma che continua ad occupare ancora oggi gli scranni del potere decisionale, facendo dei proventi dagli oneri di urbanizzazione la panacea ad ogni male, dimenticando che tutto ciò che viene “maltolto” all’ambiente, alla cultura, alla storia che ci circonda prima o poi lo si deve restituire, e con gli interessi. Una politica che castra sul nascere ogni tentativo “altro” di trovare soluzioni alternative, in linea con il pensiero neoliberista che spinge verso la “modernizzazione sfrenata” facendo diventare la città luogo di segregazione e di esclusione, perdendo ogni carattere proprio della comunità e ogni funzione aggregativa o di stimolo alla coesione sociale.

Così sta diventando Bari, anch’essa sta subendo l’effetto del capitalismo selvaggio, un sistema basato sulla disuguaglianza e non sulla solidarietà. Un sistema in cui la città continua a crescere aggredendo il territorio e modificando la sua natura. Si parla di riqualificazione , in realtà non è che un’opera di maquillage superficiale, e speriamo non distruttivo, che nel caso specifico viene destinato al salotto buono della città, via Sparano e piazza Umberto, mentre le periferie si riempiono di situazioni artificiali, come lo spropositato numero di centri commerciali, che progressivamente stanno svuotando la città, soprattutto delle piccole attività commerciali cancellando con una firma la tradizione economica e culturale di Bari.

Anche se confuso, si percepisce un senso di dissenso nei confronti di scelte che perseguono la logora e vecchia logica globalizzante e neoliberista, ma per avere voce bisognerebbe che si rafforzi nella mentalità e sensibilità della società civile il “senso di appartenenza” accompagnato dal bisogno di “partecipazione attiva”, dove la cultura l’arte, la storia “natura” non vengano misurati solo sul piano economico, ma anche in termini di convivenza civile per continuare ad essere, per continuare ad esistere.

Adele Dentice

lunedì 28 giugno 2010

30 monete



In qualità di Presidente dell'Assicompres presente Venerdi 25 giugno 2010 alle 15,00 nella sala consiliare del comune di Bari dove si è tenuta un assemblea cittadina organizzata dal coordinamento associazioni commercianti baresi. Inoltre fuori del palazzo c'era un sit-in organizzato dal movimento Per il Bene Comune, contro l’apertura dell’ennesimo centro commerciale “Mare Blu” che sarebbe il colpo di grazia per il commercio barese: 7000 esercizi commerciali a rischio chiusura.

Tutti abbiamo constatato tristemente che il consigliere comunale dell’opposizione, Posca, e l’Assessore in carica al Commercio e Attività economiche, Albore (in sostituzione del sindaco non intervenuto all'ultimo momento) hanno giocato al rimpallo delle responsabilità. Per quanto questa diatriba sia di pertinenza della Regione questa ennesima “ licenza beffa” risale circa al 1995, e negli anni è stata tenuta in piedi con proroghe fatte passare nel più assoluto silenzio. Neanche una parola da associazioni di categorie nazionali o di politici, che... "dovrebbero" tutelare e salvaguardare il lavoro locale. Adesso che le ruspe sono gia al lavoro, si viene a conoscenza della notizia.

Così dopo due ore ci troviamo al solito con un pugno di mosche, e usciamo mestamente dall’incontro con la notizia che Il sindaco (fantasma) aveva già espresso che egli sosterrà le nostre sacrosante istanze contro l’apertura di questo altro mostro di cemento.

Noi dell’Assicompres abbiamo buona memoria però. Ricordiamo bene che il sindaco in carica, e il precedente Assessore al commercio si adoperarono per avere la dicitura di Bari come "città a economia prevalentemente turistica” espressione che di fatto ha consentito l’aumento dei metri quadri per le richieste delle autorizzazioni. Questo perché nessuno si deve sentire esente da colpe.

Ora ci auspichiamo una vera assemblea cittadina alla presenza del sindaco Emiliano e il presidente della Regione Vendola con i commercianti di Bari, e magari delle province limitrofe e non solo con le Associazioni di categoria nazionali, dalle quali i commercianti baresi non si sentono più rappresentati da anni, perché sanno bene che probabilmente accetteranno di svenderci per “30 monete”, quelle che l’ipermercato di turno darà come contropartita per l'apertura e che probabilmente verranno utilizzate dal comune per il restyling di via Sparano o qualche altra ridicola notte bianca.

Antonino Cimino

venerdì 25 giugno 2010

Gabbie salariali, catene di schiavitù



Nel settembre 2008, governo, sindacati e padroni hanno siglato l'accordo Alitalia il quale non ha interessato solo i lavoratori della compagnia aerea, ma ha significato l'inizio della riforma dei salari di tutti i lavoratori. Ogni azienda che dichiara lo stato di crisi può evitare l'obbligo di rispettare le garanzie e le tutele poste a difesa dei lavoratori. Basta un commissariamento, una procedura di cassa integrazione o di mobilità e l'azienda può cambiare solo il nome. Con il nuovo nome, l'azienda può licenziare tutti i lavoratori e procedere a nuove assunzioni, chiaramente a condizioni peggiori. E cioè con salari più bassi e con contratti precari, quali i contratti a termine, part-time, a progetto, a somministrazione, ecc. Governo, sindacati e padroni hanno attuato un ulteriore passaggio verso il peggioramento con l'accordo del 22 gennaio 2009 con il quale hanno riformato la contrattazione collettiva, anche se in realtà si tratta di abolizione e non di riforma.

L'accordo del 22 gennaio 2009 prevede che ogni singola azienda può stabilire il pagamento di salari in misura inferiore di quella prevista a livello nazionale. La scusa adoperata per questa deroga in peggio è quella del minor costo della vita in alcune aree geografiche. Si è detto che gli accordi Alitalia del 22 gennaio 2009 hanno reintrodotto le infami gabbie salariali. In realtà questi accordi sono ancora peggio delle gabbie salariali. Sono un mezzo per imporre la riduzione dei salari e far scatenare una concorrenza al ribasso tra i lavoratori delle singole aziende: quelli che accetteranno una paga inferiore avranno la promessa di non essere licenziati o più opportunità per essere assunti. Così, se i lavoratori italiani accetteranno salari più bassi dei lavoratori francesi, le imprese transalpine apriranno nuove fabbriche in Italia. Se i lavoratori meridionali accetteranno un salario inferiore a quello dei lavoratori del Nord, le imprese si sposteranno nel Sud. Se i lavoratori di un'azienda accetteranno un salario inferiore di quello percepito dai lavoratori dell'altra azienda concorrente posta accanto, avranno maggiore possibilità di non essere licenziati. E via dicendo fino alla corsa al ribasso tra due operai dello stesso reparto.

Giuridicamente è quello che sta avvenendo con il municipalismo introdotto da Bassolino e sostenuto da un'intera sinistra istituzionale, prima ancora di Berlusconi. Nel meridione, dove i disoccupati sono il 16% della forza lavoro, la retribuzione è già meno della metà di quella del settentrione,dove i disoccupati sono il 4%. La tendenza sarà sempre più al ribasso vista la continua minaccia di delocalizzare la produzione all'estero. Accordi padronali degli ultimi mesi hanno previsto che i salari mensili dei lavoratori italiani saranno di 1.100 euro al nord, 750 euro al centro e 300 euro al sud. Ci sarà posto di lavoro per tutti, a due soldi ma per tutti. Con queste condizioni i padroni italiani hanno garantito la rilocalizzazione delle fabbriche dal terzo mondo: BASTA ACCETTARE LE STESSE CONDIZIONI DI SFRUTTAMENTO.

Davide Falsanisi

martedì 22 giugno 2010

Bari Vecchia, futura fabbrica di cioccolata...



Il 16 giugno alle ore 20.00, in sala Odegitria a Bari Vecchia, si è tenuto l'incontro "Problemi e progetti per una città del futuro" con il sindaco Michele Emiliano, organizzato dal gruppo culturale della Cattedrale.
Le tematiche da affrontare riguardavano naturalmente la stessa città vecchia (lavoro, ztl, commercio, prospettive per i giovani ecc.) dato anche il luogo dell'evento e quindi il pubblico presente.

Com'è ovvio i barivecchiani non sono andati all'incontro per la bella "curiosità": che oramai ha lasciato il posto al senso d'ingiustizia, di rassegnazione (e talvolta di rabbia), dovuto al fatto di sentirsi declassati a pecore nere della città (in primis dalla classe dirigente e dal mondo culturale, e poi dopo, solo dopo, dagli altri baresi!). Essendo perlopiù gente umile, si dà il caso che non sappiano che farsene dei progetti faraonici, dei concetti astrusi e delle frasi retoriche fintocosmopolite sul futuro di Bari (nel Mediterraneo, porta d'Oriente e via farneticando...). Poche semplici richieste: lavoro, casa, posto auto (ai residenti). E riavvio dell'economia locale, ammazzata dall'invasione dei pub nelle due piazze centrali, veri e propri piccoli Billionaire per le legioni di ragazzini truzzi e consumisti che si ritrovano per la movida notturna (a proposito, i residenti rivogliono indietro anche il sonno).

Invece, e c'era d'aspettarselo, i barivecchiani hanno subito ancora insulti a raffica alla loro intelligenza. Per quel poco che è intervenuto, il personaggio Emiliano ha confermato di essere solo un miscuglio di pressapochismo e arroganza, ossia tuttò ciò che rimane di lui quando non è in campagna elettorale (per capirlo bastava appunto un evento pubblico assai più "dimesso" e meno pubblicizzato se confrontato con quel trionfo del populismo che sono state le comunali 2009).

Già degno di nota il ricordo autobiografico del sindaco (della sua felice giovinezza a Bologna per gli studi), da cui trae la personale conclusione che i baresi dovrebbero imparare tutto dai bolognesi, anzi diventare come loro (!), essendo rimasti tuttoggi i soliti meridionali un po' chiusi e levantini; nessuna sorpresa, è l'argomentazione che chiunque al sud sfodera dal taschino per far ricadere sui cittadini ed elettori la colpa di quelle che sono le proprie imperdonabili mancanze e responsabilità.

Una domanda dopo l'altra, Emiliano ha glissato imperterrito sui nodi e problemi chiave, con scusanti infallibili quali "non ci sono soldi" oppure "dovevano attuarlo i consiglieri", il che ormai è un suo leitmotiv con buona pace di tutti i suoi (comunque complici) delegati e sottoposti vari.

E per risollevare l'economia della città vecchia? Come punto di partenza, il primo cittadino indica la ristrutturazione delle case da parte degli abitanti, i quali però a suo dire forse mancano di coraggio nel farlo.... ciò che sfugge è che il coraggio non serve a niente, senza i soldi per poter ristrutturare! E tutti sanno che di soldi a Bari Vecchia, sempre al top della miseria economica e della devianza, non ne girano assai tra chi ci vive; ma Emiliano lo sa benissimo, e con lui quelli che per anni hanno amministrato prima di lui. Ci penseranno, come al solito, i facoltosi notabili della Bari bene, che in decenni si sono appropriati di mezza città vecchia, a "ristrutturare" laddove i residenti non potranno permetterselo (e continueranno ad andar via) .

Riqualificate le case si  possono di conseguenza affittare camere ai turisti: il sindaco pensa in particolar modo a quelli delle crociere (che, dice con rammarico, "lasciano sempre il portafoglio sulla nave"). Anzi, meglio ancora: i residenti dovrebbero lasciar loro sempre aperte le proprie case, magari per offrire tutto l'anno "cioccolata calda e savoiardi" come si fa alla festa di San Nicola a dicembre (???).

Insomma, l'idea di una Bari Vecchia trasformata in un tristo incrocio tra il museo vivente e il luna park, a completa disposizione del "pubblico pagante". Come la morte a Venezia, oggi la follia a Bari: nessun tentativo di sostenere un modello di turismo accessibile e non consumistico, di far risorgere la scuola S.Nicola lasciata chiudere, di rilanciare i mestieri tradizionali, di incentivare soprattutto i posti di lavoro con cooperative di gente del luogo, per rubare braccia alla criminalità organizzata. Dimenticavamo, Emiliano ha ribadito, già che c'era, che quella a Bari è scomparsa del tutto. Come, del resto, i famigerati 30.000 posti di lavoro da lui promessi in campagna elettorale.

Andrea Russo

lunedì 21 giugno 2010

Via il commercio dalla città



Che senso ha distruggere la piccola distribuzione particolare vocazione commerciale di Bari e migliaia di posti di lavoro? Tutto il territorio barese è ormai strapieno di outlet, ipermercati eppure durante le campagne elettorali ci avevano parlato di valorizzazione del territorio e di quello sviluppo sostenibile che, oggi, assomiglia più alla depredazione che altro. Per alcuni questo è progresso. Ma c’è chi pensa, malignamente, ad una gigantesca speculazione edilizia. e al valore centuplicato dei terreni, in quest’ultimo caso stiamo parlando solo dell’area di di Santa Caterina, dove tra l’altro troneggia un altro mega insediamento La Mongolfiera. Altri tentano di giustificare questo nuovo insediamento come funzionale alla creazione di nuovi posti di lavoro, sempre i soliti maligni pensano che in realtà siano finalizzati al clientelismo politico; e poi c’è qualcosa che non va proprio sui numeri, se i posti previsti sono 400, ovviamente tutti giovani, gli esercizi commerciali di Bari sono 7000 circa (c’è un saldo negativo di oltre 400 negozi chiusi nell’ultimo biennio), calcolando anche i dipendenti e la filiera connessa e ammettendo, in una prospettiva rosea, che altri 400 negozi chiuderanno comunque già siamo andati ben oltre i 400 posti di lavoro garantiti, senza considerare poi il lato umano di coloro che per 30 anni hanno lavorato, e che non avranno alcuna possibilità di essere assorbiti, andando ad incrementare la disoccupazione. Ci dicono che questa è la logica della libera concorrenza, a me sembra che di libero non ci sia niente se non che qui stiamo assistendo ad una competizione senza quartiere, ad un Far West spregiudicato e senza regole, e alla fine solo pochi sopravvivranno. Non si vede infatti come una popolazione economicamente depressa, per via anche della crisi, possa rispondere ai bisogni di una presenza commerciale così massiccia e sproporzionata, che si abbatte come una tsunami su i lavoratori e i piccoli commercianti fuori e dentro i centri commerciali, che rimarranno, inevitabilmente, sul terreno. E allora perchè il Comune di Bari, vicino come dice al mondo del lavoro, non interviene e nega la licenza per la costruzione del nuovo centro commerciale Bari Blu?

La risposta già la conosciamo: le licenze sono stata date e il comune di Bari, cioè noi, rischia di pagare 3 milioni di euro di mora alla società, ma a quanto dice l’ex assessore Ventrella, le cose non stanno proprio cosi. Ci sarebbero. infatti, margini per bloccare la nascita Mare blu, essendo ormai scaduti i termini per l’avvio del’attività , nonostante le due proroghe (2006- 2008). Senza contare poi il mancato parere delle associazioni di categoria e della Ripartizione al Commercio in merito alla necessità di aprire un altro centro commerciale dopo che negli ultimissimi anni l’offerta è aumentata significativamente per l’apertura di numerosi ipermercati. Sempre per l’ex assessore non solo il comune può intervenire ma anche la Regione ha le sue armi per contrastare l’avvio ai lavori, in quanto la licenza alla I.G.C., poi ceduta ala società Mare blu, è stata concessa quando non c’erano ancora i regolamenti attuativi che determinano i criteri per le concessioni; attualmente le condizioni si sono completamente modificate, come fa notare Ventrella, per via della proliferazione di Ipermercati sul territorio, che non sempre riescono a reggere la concorrenza Il sindaco, dal suo, ha affermato di essere apertamente contrario a questa nuovo insediamento. Vedremo, in tanto le ruspe continuano a scavare e noi speriamo che almeno non vengano eliminati i vecchi posti di lavoro dal momento che dei nuovi 30.000 non c’è nemmeno l’ombra.

Adele Dentice

domenica 20 giugno 2010

Scuola e globalizzazione: guai ai Deboli!



Per capire le ragioni dei cambiamenti delle politiche educative e scolastiche non basta semplicemente ricondurre tutto all'attuale crisi economica ,quanto piuttosto legarle alla ridefinizione della natura dello Stato e del suo rapporto con la società civile; un processo abbastanza lento poichè, da un lato bisognava creare i presupposti perchè l’opinione pubblica digerisse la perdita di diritti, dall’altro il sistema scuola andava trasfigurato nella sua sostanza e nei principi costituzionali su cui si poggiava, un processo che ha visto come edificatori e complici tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi decenni e tutte le aree politiche che, al di la di slogan preelettoralistici, per sopravvivere devono adeguarsi al dominio della rete dei poteri forti guidati dalla Confindustria.
I cambiamenti sono stati prodotti dal processo generale di globalizzazione, che ha posto dei vincoli alla concezione dell’istruzione come bene comune , di cui beneficia non solo l’individuo ma tutta la collettività e che ha come obiettivo da raggiungere l’uguaglianza delle opportunità. Con la globalizzazione questi principi di eguaglianza sociale e dell’istruzione/formazione, interpretato come ascensore sociale, non sono coincidenti, poichè l’idea di Stato, che promuove la “modernizzazione” della società, ha come obiettivo principale quello della promozione delle attività economiche sia all’interno che al’esterno rendendole competitive, e l’obiettivo principale è quello di cercare di risolvere prioritariamente i problemi economici orientandosi verso la manovra dell’offerta, del’innovazione ed del rafforzamento della competitività nazionale, relegando tutta la politica del welfare a un ruolo di secondario interesse. Se ne deduce, quindi, che questa trasformazione, introdotta dalla globalizzazione neoliberista, si fa accompagnare da un’altra di ordine culturale che vede la subordinazione del discorso educativo formativo a quello economico e ai bisogni della flessibilità centrato sull’efficienza.

L' istruzione deve essere considerata come un servizio reso al mondo economico (ERT, 1995). In questo scenario la scuola viene ridefinita in termini di "capitale umano", dando priorità all’apparato economico dell’istruzione ,eliminando completamente ogni implicazione di ordine educativo; in questa logica si spiegano la dissoluzione della scuola primaria ,riconosciuta tra le migliori del mondo, il sovraffollamento delle classi e l’eliminazione di ore di laboratori e di discipline curriculari; provvedimenti tutti funzionali alla legge del mercato del lavoro centrate sui costi e sui guadagni, così gli studenti sono clienti /prodotti e la scuola produttore. Anche il dirottamento dei fondi economici statali dalle scuole pubbliche verso le scuole private rientra nell'ottica del processo del risparmio, che condurrà all’eliminazione della scuola pubblica, se n on in forma residuale di scuole-contenitore in zone ad alto rischio socio-culturale, con grande contrazione dei costi dello Stato poichè il contributo dato ai privati, per quanto oneroso, non sarà ma imparagonabile ai finanziamenti utili per tenere in piedi le scuole pubbliche (stipendi dei dipendenti, corsi di formazione e, strutture ecc).

Gli effetti immediati, già distinguibili, sono la disuguaglianza educativa e lo scarso interesse rispetto alle politiche sociali ,cambia infatti l’interpretazione dell’uguaglianza e tutto riconduce al binomio elite-utilitarismo. Non solo ma la globalizzazione, accentuando i processi di atomizzazione individualistica, elimina anche ogni possibilità di solidarietà sociale, soprattutto perchè la scuola, trasformata in azienda e impoverita della democrazia, è stata depotenziata in questa sua funzione sostanziale.

A sbilanciare in senso antidemocratico la funzione educativo formativo della scuola è proprio l’ introduzione del concetto di "merito" che conduce al fallimento del giovane più debole sul piano socio-culturale , approfondendo il divario tra classi sociali in aperta contraddizione sia con i principi della Costituzione che con la pratica educativa, che testimonia come esperienze consolidate,finalizzate al recupero e al potenziamento individuali , si sono rilevate strumenti efficaci e indispensabili di prevenzione del disagio e della devianza.
Per concludere è da rimarcare come lo smantellamento della scuola pubblica che trova la sua giustificazione nella necessità di porre un argine al deflagrare della crisi, racconta anche qualcosa di diverso: la riforma Gelmini rappresenta nel suo insieme il punto di equilibrio precario di accordo tra la classe politica, di governo e di opposizione. Andando oltre il tema della riorganizzazione del sistema dell’istruzione e del welfare l’indegno gruppo dirigente del Pd e di tutta l’area della sinistra ha già da molto tempo deciso: qualche piccola modifica, qualche contentino, poi si va avanti “insieme”.

Tutti sono d’accordo nel progettare una scuola che costi molto meno e che prepari dei cittadini a livello di buoni consumatori. I dissidenti falsi o in buona fede che siano, anche loro sono funzionali servono come valvole di sfogo, da stritolare o riciclare poichè ognuno ha il suo il prezzo, mentre la politica del saccheggio sociale continua la sterilizzazione dei salari per i lavoratori di tutti i settori pubblici e privati passa senza prese di posizioni decise, la scusa è sempre la solita le perdite e i debiti vanno socializzati , già solo che vengono scaricati sulle classi popolari nella logica tutta darwiniana della selezione delle specie più deboli. Guai ai deboli, solo che i deboli sono numericamente tanti!

Adele Dentice

domenica 13 giugno 2010

Mondo moderno



Il governo sta procedendo indisturbato con la nuova legislazione del lavoro, il Collegato lavoro Ddl 1167-bis che mira a togliere le residue garanzie giuridiche a milioni di lavoratori, senza sognarsi minimamente di colpire i privilegi veri come la speculazione edilizia o l’evasione fiscale, basta solo ripensare ai 120 miliardi di Euro l’anno di evasione fiscale, favorita da un governo che ha depenalizzato il falso in bilancio, riattivato la possibilità di pagamento in contanti, che ha fatto un condono-regalo agli evasori, ecc.

Con il Collegato lavoro viene definitivamente realizzata la tendenza a costituire rapporti di lavoro sempre più individualizzati, nei quali il lavoratore, sempre più solo e in condizioni di debolezza, sarà costretto a concordare le proprie condizioni contrattuali con il datore di lavoro o con l'agenzia interinale, senza le tutele garantite dai contratti collettivi nazionali.
Nel frattempo viene sferrato l’ennesimo spietato attacco al pubblico impiego con il blocco del rinnovo contrattuale 2010 – 2012 e delle retribuzioni per quattro anni e fino alla fine del 2013, degli scatti di anzianità nella scuola e nell'università, proroga per altri due anni del blocco delle assunzioni e riduzione del 50% delle spese per la formazione del personale. E come se non bastasse sono in serio pericolo le liquidazioni che nella migliore delle ipotesi verranno spezzate in tre tranches, sempre nel pubblico impiego e sempre le donne della P.A. andranno in pensione a 65 anni, senza che siano sostenute da una politica sociale adeguata.
Stiamo in Italia dove si licenzia una donna perchè deve assistere la propria figlia malata di leucemia o dove un padre di famiglia viene avvisato tramite telefono di aver perso il posto di lavoro, dove i giovani laureati se non hanno la fortuna di avere una famiglia ricca alle spalle o uno studio professionale affermato, devono scappare via, oppure adeguarsi a lavoretti che non corrispondono nè alle loro aspettative nè alle loro speranze, e in fumo vanno via anni di sogni, sacrifici e soldi.

E fa pensare come, a fronte della decadenza di un sistema che continua ad essere in mano al dominio baronale delle Università e spreca giovani intelligenze precarie,ci siano potenze economiche emergenti come la Cina e l’India che investono nel segmento della formazione e dell’Università e ben presto saranno in grado di sviluppare la loro egemonia e anche nei settori di più alta tecnologia, dopo aver già conquistato il settore di quella piccola e media.
E' colpa della crisi! ci dicono e anche questa crisi va pensata come interna ad un quadro di finanza internazionale che mira a depotenziare l’Euro, per rinforzare il dollaro come moneta di riferimento , resta il fatto chi in tempi non sospetti in Italia sono state varate le leggi per smantellare lo Statuto dei lavoratori e parcellizzare l'organizzazione del lavoro, che trova il suo apice nella famigerata legge 30, e portano la firma di tutti i governi sia di sinistra che di destra. Le figure contrattuali flessibili introdotte con la legge 30 si innestano sul Pacchetto Treu del "centro-sinistra" (che già ci aveva "regalato" il lavoro interinale) 1997.

E' più logico pensare che l’erosione dei salari la precarietà e l’isolamento del lavoratore sono frutto di anni di politica deliberata , volta a incrementare il guadagno trasformando i lavoratori in merce da tenere sotto la pressione del ricatto occupazionale ed espellendoli dal ciclo produttivo quando non servono più! Sembra incredibile, ma è tutto vero come le richieste FIAT ai suoi dipendenti di Pomigliano d’Arco - deroga al contratto nazionale sui recuperi produttivi -abolizione del pagamento dei 3 giorni di malattia in casi di assenze superiori a una certa percentuale. - obbligo di esigibilità per tutte le organizzazioni sindacali su straordinari e flessibilità, pena sanzioni verso i sindacati e le Rsu - obbligo di obbedienza per i lavoratori alle nuove regole di flessibilità pena il licenziamento - deroga al contratto nazionale sullo straordinario obbligatorio aumentandolo fino all’80%. alle contestazioni Marchionne ha risposto : o mi date la flessibilità che chiedo o vado a produrre fuori dall’Italia. E’ la legge del mercato quella che fa si che ogni giorno decine di migliaia d’imprenditori perdano la propria umanità trasformandosi in individui senza scrupoli, pronti a barattare qualche scampolo di produttività con la vita delle persone.

Quella legge che si accompagna alla falsa indignazione di qualche politico o del mondo sindacale, atti retorici che si spengono dopo, sparita l’attenzione mediatica per tornare a fare di peggio. Per questo solidarietà a Michele che da giorni sosta davanti al comune di Rodi Garganico per difendere il suo lavoro , per Giuseppe licenziato tramite una telefonata , per la doppia tragedia della mamma di Venezia, per Luca che non vuole andare a rubare, per i precari , per i cassaintegrati per gli inoccupati e per tanti altri e tante altre...

Adele Dentice

lunedì 7 giugno 2010

Aggiornamenti di giugno






Questi di fine maggio e inizio giugno sono stati giorni di impegno continuo ed intenso per noi gruppo PBC di Bari. Giovedì 27 maggio, il sit-in davanti al consiglio regionale, durante l'insediamento della nuova giunta, insieme ai lavoratori precari e ai disoccupati. Abbiamo anche intervistato Michele Panella, di Rodi Garganico, che ci ha parlato dei suoi diritti di lavoratore negati dalle istituzioni e della sua lotta.
Sabato 5 giugno abbiamo allestito un gazebo-banchetto in centro per raccogliere le firme contro il Collegato Lavoro del governo. Già nei prossimi giorni promuoveremo la raccolta nelle altre zone del capoluogo (cominciando dalle periferie). 
È importante soprattutto la collaborazione di chi supporta la Petizione nel resto della provincia e nella BAT, per aiutarci a essere presenti nelle piazze di ogni città: ricordiamo che i moduli per le firme si possono scaricare dal sito http://petizione.lavoro.perilbenecomune.net/ nel riquadro "Raccolta di firme ai banchetti".

E oltre alla battaglia per il lavoro, anche quella in difesa della Palestina libera. Martedì 1, giovedì 3 e venerdì 4 giugno ci siamo mobilitati in massa nelle piazze per una grande campagna di controinformazione sulla tragica vicenda della Freedom Flottilla per Gaza (riguardo la morte di 19 attivisti per mano dell'esercito israeliano/sionista) e per far conoscere alla cittadinanza la situazione insostenibile che vive la popolazione di Gaza sotto l'embargo di Israele, mentre la televisione e la grande stampa continuano ad alimentare col silenzio e la menzogna un clima di diffidenza e di odio verso chiunque manifesta solidarietà al popolo palestinese.

Confidiamo nella collaborazione e nella partecipazione di chi sostiene le nostre posizioni e iniziative in Puglia, per essere assidui e numerosi il più possibile nelle nostre iniziative. Potete anche venirci a trovare nella nostra nuova sede (in allestimento), cliccando su "Contatti" in alto su questo sito potete trovare l'indirizzo e i recapiti; per essere informati e aggiornati sugli appuntamenti principali, contattateci  o continuate a seguirci sul blog.

domenica 6 giugno 2010

Squali nel Mare Blu



La nascita dell’ennesimo "mostro" nella zona di santa Caterina: Mare Blu, l’ipermercato più grande della Puglia. Si dice che sarà occasione di lavoro, bene! Sembrerebbe, ma le mezze verità sono peggio delle bugie.

La iper-struttura, ovviamente, assorbirà tutte le varie attività precedentemente dislocate sul territorio, porterà al definitivo crollo di molti piccoli esercizi commerciali, alla chiusura della media struttura commerciale così quel che resta del piccolo commercio delle piccole imprese che una volta animavano Bari e la caratterizzavano come città mercantile, si dissolveranno nella logica del più grande che fagocita il piccolo, dietro una mega speculazione nascosta dall’ipocrisia del lavoro. In realtà non farà che concentrare la distribuzione e la cultura del consumo massificato, assorbirà, flessibilizzandola, la manodopera che era precedentemente occupata in altre strutture, senza nessun reale apporto all’occupazione. Il tutto come qualsiasi altra struttura padronale che si rispetti! Chi ne beneficerà senz’altro le imprese che costruiranno la struttura e le strade di acceso e i ponti e la società proprietaria, non certo dipendenti, quelli che nella pratica quotidiana offriranno la prestazione lavorativa come un fatto individuale tra l’impresa e il lavoratore, con contratti ricchi di clausole ricattatorie, e non andrà meglio neanche ai commercianti baresi, che nulla potranno contro il “parere strettamente tecnico“ rilasciato dall’assessore Sannicandro e una delibera del 1995 che l’amministrazione Emiliano “non può bloccare”; stesse ragioni per cui non si è potuto fermare lo scempio di piazza Cesare Battisti e non si potrà  bloccare il garage sotterraneo di corso Cavour ennesima devastazione urbanistica di Bari. Un’applicazione selvaggia che seppellirà Bari sotto un mare di auto e cemento, altro che Mare Blu!

Bari, Città Futura, si prepara a diventare una città senza centro storico, inteso come  un punto di riferimento condiviso, poichè troppo lontano ed estraneo dai luoghi di residenza. I legami che conteranno saranno quelli dei luoghi tipici della modernità: l’ipermercato, l’area di sosta autostradale, l’autosalone, la discoteca, il centro sportivo, il cinema multisala, l’aereoporto… luoghi sparsi che richiedono l’uso dell’automobile. Di vitale nel centro storico resterà la movida notturna chiassosa sporca e di giorno magari ci saranno uffici, banche, e garage sotterranei che accoglieranno le auto dei dirigenti, impiegati e politici, forse qualche negozio che  porta i soldi altrove.

Probabilmente si sarebbe potuto pensare a una città diversa, magari valorizzando una categoria debole e frammentata in piena crisi di settore come la piccola impresa e il piccolo commercio, rivitalizzandolo anche a beneficio della tradizione barese, favorendo un maggior equilibrio tra piccola e grande distribuzione, snellendo tutte le pratiche burocratiche e incoraggiando l’iniziativa del territorio. Forse Bari non avrebbe avuto il più grande ipermercato della Puglia, forse si sarebbe potuto evitare di cedere un altro pezzo di economia e territorio  a una finanziaria lussemburghese. Forse, si sarebbe potuto.

Adele Dentice