venerdì 25 giugno 2010

Gabbie salariali, catene di schiavitù



Nel settembre 2008, governo, sindacati e padroni hanno siglato l'accordo Alitalia il quale non ha interessato solo i lavoratori della compagnia aerea, ma ha significato l'inizio della riforma dei salari di tutti i lavoratori. Ogni azienda che dichiara lo stato di crisi può evitare l'obbligo di rispettare le garanzie e le tutele poste a difesa dei lavoratori. Basta un commissariamento, una procedura di cassa integrazione o di mobilità e l'azienda può cambiare solo il nome. Con il nuovo nome, l'azienda può licenziare tutti i lavoratori e procedere a nuove assunzioni, chiaramente a condizioni peggiori. E cioè con salari più bassi e con contratti precari, quali i contratti a termine, part-time, a progetto, a somministrazione, ecc. Governo, sindacati e padroni hanno attuato un ulteriore passaggio verso il peggioramento con l'accordo del 22 gennaio 2009 con il quale hanno riformato la contrattazione collettiva, anche se in realtà si tratta di abolizione e non di riforma.

L'accordo del 22 gennaio 2009 prevede che ogni singola azienda può stabilire il pagamento di salari in misura inferiore di quella prevista a livello nazionale. La scusa adoperata per questa deroga in peggio è quella del minor costo della vita in alcune aree geografiche. Si è detto che gli accordi Alitalia del 22 gennaio 2009 hanno reintrodotto le infami gabbie salariali. In realtà questi accordi sono ancora peggio delle gabbie salariali. Sono un mezzo per imporre la riduzione dei salari e far scatenare una concorrenza al ribasso tra i lavoratori delle singole aziende: quelli che accetteranno una paga inferiore avranno la promessa di non essere licenziati o più opportunità per essere assunti. Così, se i lavoratori italiani accetteranno salari più bassi dei lavoratori francesi, le imprese transalpine apriranno nuove fabbriche in Italia. Se i lavoratori meridionali accetteranno un salario inferiore a quello dei lavoratori del Nord, le imprese si sposteranno nel Sud. Se i lavoratori di un'azienda accetteranno un salario inferiore di quello percepito dai lavoratori dell'altra azienda concorrente posta accanto, avranno maggiore possibilità di non essere licenziati. E via dicendo fino alla corsa al ribasso tra due operai dello stesso reparto.

Giuridicamente è quello che sta avvenendo con il municipalismo introdotto da Bassolino e sostenuto da un'intera sinistra istituzionale, prima ancora di Berlusconi. Nel meridione, dove i disoccupati sono il 16% della forza lavoro, la retribuzione è già meno della metà di quella del settentrione,dove i disoccupati sono il 4%. La tendenza sarà sempre più al ribasso vista la continua minaccia di delocalizzare la produzione all'estero. Accordi padronali degli ultimi mesi hanno previsto che i salari mensili dei lavoratori italiani saranno di 1.100 euro al nord, 750 euro al centro e 300 euro al sud. Ci sarà posto di lavoro per tutti, a due soldi ma per tutti. Con queste condizioni i padroni italiani hanno garantito la rilocalizzazione delle fabbriche dal terzo mondo: BASTA ACCETTARE LE STESSE CONDIZIONI DI SFRUTTAMENTO.

Davide Falsanisi

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