mercoledì 22 settembre 2010

La spirale della povertà



L'ultimo rapporto Istat sulla diffusione della povertà in Italia dimostra che c'è un peggioramento delle condizioni di vita di moltissime famiglie italiane, prevalentemente residenti nel Mezzogiorno.

Per l'Istat sono povere quelle famiglie che si collocano al di sotto di una linea di povertà quantificata in termini di consumi medi pro-capite. Nel 2009 la linea di povertà relativa è risultata pari a 983 euro,17 euro in meno rispetto a quella del 2008. Nel 2009 le famiglie in condizioni di povertà relativa risultano essere 2 milioni 657 mila, pari al 10,8% delle famiglie italiane. Si tratta di 7 milioni 810 mila individui poveri, il 13,1% dell'intera popolazione.

La maggior parte sono giovani individui inoccupati o con impieghi precari, o assunti in nero. In questo caso non si tratta di bamboccioni perchè sono individui alla ricerca del lavoro e sui quali si scaricano 2 contraddizioni di questo modello di sviluppo. La prima, alla quale il governo ha saputo rispondere con la social card, consiste nella trasmissione ereditaria della povertà. Nel contesto italiano chi nasce povero, non solo è destinato a rimanere tale,ma è destinato ad impoverirsi ulteriormente. Ciò accade perchè i posti di lavoro disponibili si sono drammaticamente ridotti e sono diventati nella gran parte dei casi precari, e poi perchè la caduta dei salari reali ha ridotto i risparmi e la possibilità di effettuare trasferimenti di reddito.

Il Mezzogiorno è sempre più un'area di desertificazione industriale, popolata da imprese di piccole dimensioni, con alta incidenza di economia irregolare. Così è ovvio che la domanda di lavoro sia bassa, riguardi essenzialmente individui poco scolarizzati, e i salari siano bassi e decrescenti.

Si è in presenza di un modello di sviluppo e di una politica economica dalla quale non c'è da attendersi una riduzione della povertà in Italia e soprattutto nel Mezzogiorno. Un obiettivo questo che dovrebbe essere ritenuto prioritario e che potrebbe essere raggiunto evitando misure assistenziali di breve periodo, e abbandonando l'idea che la crescita economica si possa conseguire con politiche di austerità e di riduzione dell'intervento pubblico in economia.

Davide Falsanisi

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