venerdì 14 settembre 2012

o sangue amare : la scuola è della mafia

NEET,ovvero un’intera generazione di giovani dai 15 ai 29 anni che non
studia e non lavora . I dati dell’Ocse sono impietosi oltre a farci
precipitate al penultimo posto della classifica ci danno un quadro
inquietante dei figli delle periferie ,quelli i cui genitori hanno un
tasso di istruzione modesto che non riescono a migliorare e sono
esclusi da qualsiasi percorso , destinati ad essere schiavi , a vivere
ai margini della società facile preda della criminalità organizzata che,
approfittando della crisi, sta gonfiando le proprie fila di militanti
Altro che ascensore sociale! la scuola pubblica è stata destrutturata
e depotenziata nella sua funzione formativa e preventiva soprattutto
in territori  con alta vocazione criminale . In queste zone più che in
altre sarebbe dovuta essere imperativa per le scuole la necessità di porsi come
istituzioni attente,oltre che  alle esigenze degli adolescenti, allo
sviluppo e alla radicalizzazione della  cultura della legalità e della
solidarietà   che possano fungere da  barriera   contro le
infiltrazioni delle organizzazioni criminali che intendono i minori
come fonte di danaro e di consenso politico. La scuola rappresenta,
infatti, un vivaio e la sede ottimale per il reclutamento, ma quando
isolatamente purtroppo
si vuole anteporre al modello sotto-culturale forte, che si impone ai
giovani, un sapere  radicalmente alternativo, allora diventa oggetto di
atti vandalici e le persone che vi operano oggetto di atti
intimidatori.
Oggi la scuola nei territori disagiati  è il centro delle
contraddizioni, perché pur rimanendo il presidio per eccellenza della
legalità nel quartiere è anche il punto di incontro dei conflitti
virtuali tra la criminalità organizzata, che si materializza nelle
dinamiche comportamentali e relazionali tra bambini, donne, a volte
complici e a volte vittime, e gli operatori scolastici. Questi ultimi,
privi di adeguati strumenti strategici, si mostrano a volte inadeguati
al compito di dover arginare e contrastare fenomeni tanto complessi.
Un tragico fenomeno riconducibile alla politica di disinvestimento nella scuola
pubblica, che in zone  depresse dovrebbe prevedere l’utilizzo dei
migliori insegnati e dell'allungamento del tempo scuola, impedire la saltuarietà
dei docenti e delle programmazioni. IAl contrario si lavora sull’
emergenza, sull'approssimazione
e sul contenimento .e  lo scenario attuale, si limita a conferire
all’istituzione, qual’ora non si proceda alla sua definitiva
eliminazione,  il ruolo di  un contenitore di ragazzi o bambini, che di fatto
utilizzano la scuola come spazio utile a favorire l’apprendistato
della criminalità organizzata. E’ infatti ormai riconosciuto anche
processualmente  che le organizzazioni mafiose per garantire la
continuità operativa ed usufruire dell’impunità  dei minori, reclutano
tra le loro fila molti giovanissimi la cui età si abbassa  sempre di
più. Vengono, naturalmente  privilegiati  quartieri ad alto tasso di
disoccupazione,
in cui vige la regola del più forte, della violenza, e di solito sono
ragazzi che provengono da famiglie disagiate che spesso abbandonano la
scuola prima dell’assolvimento dell’obbligo scolastico. Questi ragazzi
privi di  adeguati strumenti culturali di difesa si lasciano
affascinare  dal carisma del leader, in particolare se latitante,
perché ai loro occhi è più forte dello Stato, incapace di catturarlo,
e il boss diventa un modello da imitare e di cui fidarsi. Ed è qui
la forza aggregativa della Mafia, nel suo porsi come Mito senza negare la
realtà ma purificandone l’immagine, ne deriva una profonda equivocità
sui valori  e la giustizia la famiglia, la religione, la fedeltà
vengono usati per mascherare la vera identità criminale
dell’organizzazione; né aiutano i messaggi controversi diffusi da
fiction televisive, molto seguite dai ragazzi, che hanno favorito e
rinforzato una mentalità controversa rispetto alla riconoscibilità del
ruolo del boss delineato come un modello forte da imitare, la stessa
reclusione viene interpretata e ostentata come un valore aggiunto.
 La mafia promette  ai giovani ciò che la società non riesce ad
offrire. Essa rappresenta per i giovani una risposta al loro bisogno
di identità, di appartenenza, di rispetto e di ricchezza, in cambio
dell’obbedienza: la Mafiosità quindi non è un fatto criminale,
risolvibile con l'intervento repressivo,
ma è soprattutto “cultura diffusa”  che alimenta l’illegalità e l’omertà
innescando un circuito da cui è difficile uscire, fondato da dati
comportamentali, emotivi e cognitivi, un patrimonio trasmesso
attraverso reti relazionali composte dalla famiglia e dalle comunità
di appartenenza.
Se la famiglia è il luogo fondativo dei processi relazionali, la
scuola come agenzia principale della socializzazione secondaria è la
fucina di apprendimento dei codici che, se interpretati in maniera
distorta, come l’obbedienza e l’autorità, accentuano il mantenimento
del Pensare mafioso appreso in famiglia. Di fronte a comportamenti
devianti l’istituzione, e più in generale la società civile, tende ad
interpretarli più come una malattia da controllare o da cui
difendersi, che considerarla come una condizione esistenziale
riproponendo modalità di intervento che non producono alcun
giovamento, privilegiando iniziative frammentate o
slegate oppure  applicando il modello moralistico della
istituzionalizzazione che ghettizza i ragazzi più che favorirne
l’inclusione sociale. Ambedue i sistemi consentono solo di stornare
cospicue somme di danaro pubblico senza incidere minimamente sul
fenomeno e rinforzano circuiti clientelari , garanti di appoggi
elettorali.
C'è chi poi interpreta ottimisticamente il declino delle organizzazioni,
poiché non emergono fatti di cronaca rilevanti, ma viene
clamorosamente smentito
quotidianamente dai fatti;si continua a spacciare in
prossimità dei luoghi di aggregazione giovanile , a
lucrare sui rifiuti tossici e sul traffico delle armi , soprattutto si
continua a sostenere un ruolo socializzante nelle aree più degradate e
povere , nei quartieri dormitorio, dove l’organizzazione criminale
sembra essere l’unica forma
di potere riconosciuto e d ove il radicamento culturale le consente di
rigenerarsi, dove bambini e i ragazzi rimangono
incastrati a vita nelle scelte delinquenziali e nella cultura mafiosa.
E’ in questi territori, dove sembra impossibile il contrasto alla
criminalità che la scuola pubblica avrebbe dovuto essere  difesa, evitando la
costruzione degli ennesimi cartelli di associazioni  ma costruendo un
laboratorio permanente in cui ciascuno possa partecipare senza
abbandonare la propria identità istituzionale associativa o
individuale con l’obiettivo comune di risolvere in chiave creativa i
fenomeni di devianza superando la logica assistenzialistica e
clientelare,

adele dentice

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